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Estroso e talentuoso mancino della Grande Inter, inventò la punizione “a foglia morta”. Era l’unico calciatore italiano che Pelè voleva nel suo Brasile
di Dario Ceccarelli

Estroso e talentuoso mancino della Grande Inter, inventò la punizione “a foglia morta”. Era l’unico calciatore italiano che Pelè voleva nel suo Brasile
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Era un mancino atipico, Mario Corso, Il prototipo del talento, il genio neghittoso coi calzettoni abbassati che non deve correre per imporre la sua classe. Un artista. E infatti, pur essendo uno dei protagonisti della Grande Inter di don Helenio Herrera, quella mitica degli anni Sessanta, ricordata per aver vinto due Coppe dei campioni e due Coppe intercontinentali, e di cui i bambini recitavano la formazione come fosse una poesia del Pascoli:
Sarti-Burnich-Facchetti- Bedin- Guarneri-Picchi, Jair, Mazzola, Cappellini, Suarez, Corso
Corso non era molto amato dagli allenatori, a meno che con uno dei suoi colpi di biliardo non li facesse vincere. Allora il mancino di Dio tornava ad essere un fuoriclasse indispensabile. Anche Herrera, forse per lo spirito ribelle di Mariolino, voleva sempre venderlo a qualche altra squadra. Ma poi interveniva Angelo Moratti, il grande presidente petroliere, il papà di Massimo, e sistemava tutto. Mariolino era il suo pupillo e anche HH doveva farsene una ragione e diventare più indulgente.
“Era l’unico calciatore che Pelè dichiaratamente avrebbe voluto nel suo Brasile”
Inventore della punizione a foglia morta
Ma compagni e tifosi lo perdonavano perchè, in fondo, tutti gli volevano bene
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